Questo ciclo permette di cogliere anche l’evoluzione di cosa nostra negli ultimi cento anni, dalle lupare contro i contadini e i sindacalisti, al tritolo e alle stragi. Il teatro funge da mediazione, grazie al suo linguaggio diretto e alla bellezza della meccanica delle marionette, permette di veicolare messaggi di impegno civile e sociale, catapultando gli spettatori all’interno delle storie. Quella di Pino Puglisi, da qualche mese beatificato dalla chiesa, è la storia di un prete di frontiera che è stato ucciso dalla mafia perché faceva semplicemente il suo mestiere. In Sicilia infatti non si ammazzano solo giudici e forze dell’ordine, ma anche i ministri di Dio che hanno il coraggio di alzare la testa, di lottare per donare condizioni migliori a bambini destinati a divenire manovalanza per le associazioni criminali.
Angelo Sicilia è riuscito a narrare la semplicità e la forza di “3P”, la sua coraggiosa ribellione, incastonandola abilmente nella difficoltà culturale di un quartiere come Brancaccio che appare in tutta la sua inesorabile decadenza. Se da un lato viene palesata, in tutta la sua forza distruttiva, la cultura omertosa e la violenza, dall’altro la gioia dei bambini riesce a lenire questo crudo realismo. La narrazione fuori campo è affidata al cantastorie che riesce a tessere il filo rosso che unisce la drammaticità e la bellezza di questa storia. Gli spettatori si troveranno ad osservare l’indifferenza dei palermitani dinanzi al corpo martoriato del prete e saranno chiamati a scegliere subito da che parte stare. Come sostiene Angelo Sicilia “Sarà la morte a raccontare la vita di questo grande uomo, in un susseguirsi di scene in cui ogni spettatore diventerà parte attiva della storia. Il teatro infatti è uno strumento per far dialogare l’uomo con la parte più recondita di sé. Solo entrando in contatto con la propria cultura mafiosa, ammettendola e palesandola a se stessi, si può pensare ad un superamento vero e genuino della stessa”.