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Storia. Chi incendiò l'Hotel Balkan?

 

(ASI) Imbattendomi nella pubblicistica che indaga sull'occupazione italiana in Jugoslavia, ho visionato e letto due recentissimi testi editi rispettivamente dall'Istresco (Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea della Marca trevigiana) e dal Centro Studi Ettore Luccini di Padova (committente vero l'ANPI). Il primo si intitola “Di là del muro, Il campo di concentramento di Treviso (1942 – 1943)”, e narra la storia del campo di Monigo. Il secondo invece si intitola “L'occupazione fascista della Jugoslavia e i capi di concentramento per civili Jugoslavi in Veneto, Chiesanuova e Monigo (1942 – 1943).


Per mole documentaria, i due testi sono ottimi. Presentano una bibliografia invidiabile, e fanno luce su argomenti poco conosciuti, ossia i due campi di concentramento, quello di Monigo presso Treviso e quello di Chiesanuova presso Padova. Per giungere a parlare dei due campi, gli autori, nel primo caso Francesca Meneghetti e nel secondo caso Davide Gobbo, creano una sequenza cronologica esplicativa degli eventi dal 1915 al 1941, anno dell'”attacco nazi – fascista alla Jugoslavia”. Pur essendo anche questa definizione pregiudizievole, il mio intento è soffermarmi sull'incendio dell'Hotel Balkan – Narodni Dom, la casa della cultura slovena, e sul suo autore. Entrambi gli scrittori infatti, sorvolano sull'antecedente che ha portato alla reazione italiana. Presentando la venuta di Francesco Giunta dalla Toscana come il motivo dell'incremento dell'odio anti – slavo, solamente Gobbo cita velocemente l'uccisione di due marinai italiani, avvenuta a Spalato due giorni prima. I loro nomi (occultati dal Gobbo) erano Tommaso Gulli, Comandante della Nave “Puglia” e Aldo Rossi, fuochista. Sono stati colpiti a morte l'11 luglio 1920, a seguito di un tumulto mai chiarito a cui si è contrapposta parte della popolazione spalatina. Questo episodio ha portato alla reazione italiana del 13 luglio del 1920, con quel dannato incendio. Solo per la cronaca, Tommaso Gulli oltre a meritare un nome ed un cognome, è stato insignito di Medaglia d'Oro al Valor Militare.

L'ispiratore della rappresaglia – incendio dell'Hotel Balkan, non viene citato esplicitamente né dalla Meneghetti, né dal Gobbo, né in altre fonti. Anche in questo caso, il nome è quello di Francesco Giunta, il Federale Fascista che viene descritto dal Gobbo come un agitatore intriso di odio anti – slavo. Tuttavia, sebbene sia autore di un episodio infelice, mi sento in dovere di tratteggiarne una piccola biografia, per riscoprire una figura che comunque ha avuto sempre una sua coerenza.

Come già accennato, Francesco Giunta non era né triestino, né giuliano dalmata. Era nato a San Pietro a Sieve, in provincia di Firenze, da Antonino e Teresa Visani – Scozzi. E' stato avvocato e consigliere nazionale alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, nonché Segretario del Partito Nazionale Fascista. Ha iniziato la professione forense nel foro fiorentino. Volontario di guerra quale Tenente e poi Capitano, ha comandato una compagnia di mitraglieri. Nel marzo 1919, è strato tra i promotori in Milano dell'Associazione Nazionale dei Combattenti, e, nominato Segretario del Congresso di Roma del giugno delegato regionale per la Toscana, provvedendo ad organizzare i combattimenti per la lotta contro il disfattismo post – bellico ed il bolscevismo; nell'ottobre del 1919, ha ospitato nella sede dei Combattenti di Firenze il primo congresso Fascista e da allora si è legato indissolubilmente a Mussolini. Nominato da Gabriele d'Annunzio fiduciario della causa fiumana, si è recato più volte nella Venezia Giulia finendo per assumere la direzione del Fascio Triestino. Nell'aprile 1920, raccolte le adesioni di tutti i comuni della Venezia Giulia, si recava alla conferenza di San Remo a sostenere, assieme alla delegazione italiana, gli interessi adriatici della nazione. Il 24 maggio 1920, nonostante il veto dei comunisti, è riuscito a commemorare al Politeama Rossetti l'anniversario della vittoria, e all'uscita del teatro avveniva il primo conflitto coi repubblicani ed i comunisti che volevano impedire al corteo di scendere in città. I fascisti, che per la prima volta apparivano in camicia nera, si aprivano un varco a revolverate e da allora, si impadronivano della città. Giunta fronteggiava poi uno sciopero generale recandosi per la città con altri pochi a liberare le vie dalle immondizie accumulatesi, organizzando il primo sindacato fascista degli spazzini, a cui seguivano i pastai e i metallurgici. In seguito, diversi operai disertavano le organizzazioni rosse, sì che fin dall'estate esisteva la prima Camera del Lavoro italiana. Fino ad arrivare alla sera del 13 luglio 1920, dove, giunta la notizia dei fatti spalatini, Giunta decideva, per rappresaglia, di incendiare l'Hotel Balkan. Nel novembre del '20, fondava con Piero Belli e dirigeva poi, per tre anni, il Popolo di Trieste, secondo quotidiano fascista d'Italia. Durante le giornate del “Natale di Sangue” fiumano, Giunta provocava la sollevazione della Venezia Giulia per tentare di aiutare d'Annunzio, costringendo il Governatore a porre in stato d'assedio tutta la regione. Arrestato e liberato dopo dieci giorni, riprendeva la direzione del fascio triestino, dirigendo numerose battaglie anti – comuniste. Nel maggio 1921, Giunta veniva eletto deputato capolista di Trieste. Nel marzo del 1922, durante l'azione contro Riccardo Zanella a Fiume, piombava con un gruppo di fascisti su un Mas ancorato nel porto e lanciando venti granate contro il Palazzo di città, costringendo Zanella alla resa.

Incaricato poi da Mussolini alla conferenza di Genova, quale osservatore per la questione adriatica, veniva poi spedito in ottobre, con le camicie nere di Verona e Vicenza per l'azione su Trento e Bolzano. Il 28 ottobre, l'avvocato, quale comandante delle camicie nere della frontiera orientale, occupava di sorpresa Trieste con 3000 squadristi, impadronendosi di tutti gli edifici pubblici. Nominato poi Luogotenente Generale della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, col comando della VI zona, segretario del Gran Consiglio del Fascismo (nel gennaio del 1923), diveniva infine, apparentemente all'apice di una gran carriera politica, Segretario del P.N.F, nell'ottobre del '23. In questa veste, provvedeva alla costituzione dei nuovi quadri del Partito. Alla Camera si affermava altresì subito tra i più battaglieri oratori del gruppo. Rieletto deputato per altre tre legislature, Francesco Giunta diveniva Vicepresidente della Camera per la XXVII legislatura. Dal 21 dicembre del 1927, al 20 luglio del 1932 è stato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Consigliere della Corporazione Previdenze e Crediti, in rappresentanza degli artigiani. Da non dimenticare inoltre il suo ruolo per l'azione concordataria tra Stato e Chiesa, si può tranquillamente dire che Francesco Giunta ha ricoperto i ruoli chiave dell'amministrazione dello Stato.

Nel 1943, veniva chiamato all'ultimo grande compito: divenire il Governatore della Dalmazia. Dopo l'otto settembre, Giunta aderiva alla Repubblica Sociale Italiana, con incarico nell'ufficio Propaganda. Ma non è tutto. Al termine del secondo conflitto mondiale, la nuova Jugoslavia del Maresciallo Tito lo accusava di crimini di guerra, insieme al Generale Roatta e a Giuseppe Bastianini, e tramite la Commissione alleata ne ha richiesto invano all'Italia l'estradizione.

Nel 1950, Giunta dichiarava: “Sono stato un fascista ed uno squadrista convinto. Non lo rinnego. Io ho creduto di servire il mio Paese e l'ho fatto con il massimo disinteresse. Si è detto che sono stato fazioso. Anche Gesù Cristo è stato fazioso per i farisei. Ma io l'ho fatto per la mia fede e non l'ho mai rinnegato”. Inutile dire che anche nel dopoguerra, un personaggio di tal calibro ha ricevuto onorificenze e titoli, persino da Capi di Stato stranieri. Il figlio Alessandro Giunta, nel 1952 ha sposato la nipote del Duce, Raimonda Ciano di Cortellazzo, figlia di Galeazzo ed Edda Mussolini. Indubbiamente, un nome lo si poteva dare a questa persona. Non è stato solo il folle incendiario del Balkan, né colui che ha ricevuto dieci anni dopo la targa di marmo a ricordo dell'azione. E' stato un uomo che credeva nel suo ideale, spingendosi sino in fondo e rischiando in prima persona. Ha servito sia l'idea che lo Stato. Moriva a Roma nel 1971.

 

Valentino Quintana Agenzia Stampa Italia

 

 

 

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