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Coltura. Una Patria, una Nazione, un Popolo



Patria Nazione Popolo

(ASI) Centocinquanta anni dalla creazione dello Stato unitario non sono trascorsi invano. Sia pure fra tante contraddizioni e fra tante “tentazioni” materialiste, l’Italia ha acquisito una coscienza più matura della sua realtà giuridica, ma prima ancora, dei valori spirituali fondanti.

L’assunto, già evidenziato dalle numerose iniziative di celebrazione spesso formali, è emerso in maniera per diversi aspetti originale anche a Latina: in particolare, nella conferenza tenutasi il 2 dicembre presso il Museo “Duilio Cambellotti” ad iniziativa dell’Associazione “Potentia”, per la presentazione del volume “Una Patria, una Nazione, un Popolo”, opera di Pietro Cappellari con il concorso di altri 12 Autori.

Esiste una difficile ma cosciente continuità fra l’Italia del Risorgimento, espressione sia pure elitaria di un comune sentire nazionale, la Patria liberale e lo Stato fascista: ciò, sia pure con diversi gradi di consenso progressivamente crescente, attraverso il perseguimento dell’unità, dapprima con l’acquisizione di Venezia (1866) e di Roma (1870), poi con quelle di Trieste e di Trento (1918), ed infine con quella di Fiume (1924). Un perseguimento, conviene aggiungere, che non fu mai completamento, perché l’Italia “fuori d’Italia”, secondo la pertinente definizione di Giulio Vignoli, rimase tale (a cominciare dalla Dalmazia, fatta eccezione per il breve, tragico triennio compreso fra il 1941 ed il 1944).

Davanti ad un pubblico attento e partecipe, Cappellari ha illustrato le tappe essenziali di un processo di maturazione spesso sofferta verso l’idea, se non anche la realtà, dello Stato etico, che non è l’antitesi dello Stato di diritto, ma la sua nobilitazione nel quadro di un sistema di valori condivisi, al di là della sua struttura costituzionale e giuridica.

L’Italia, a centocinquanta anni dal fatidico 17 marzo 1861, è ancora giovane e deve approfondire la conoscenza della sua storia per giungere ad una consapevolezza critica più matura dei suoi problemi ed al perseguimento di soluzioni congrue e moralmente condividibili, ma proprio per questo è necessario mutuare dal pensiero e dall’azione del Risorgimento, del liberalismo e del fascismo un denominatore comune capace di orientare le scelte avvenire in chiave etica, idonea a trascendere suggestioni individualiste e particolariste dure a morire e conati centrifughi decisamente anacronistici; ed a perseguire obiettivi governati dall’ethos, come quelli che nel Ventennio si tradussero nella creazione di ben 147 città di fondazione, fenomeno unico non soltanto pontino, ma esteso dall’Istria alla Sicilia, o dalle Puglie alla Sardegna.

Cappellari ha sottolineato, quale carattere distintivo del ruolo affidato alla nuova Italia emersa dal Risorgimento in poi, la “missione” di diffondere nel mondo il suo “primato” umano e civile, che risale al mazzinianesimo e prima ancora, alla tradizione giobertiana di un cattolicesimo capace di ripudiare i canoni reazionari della Santa Alleanza e di guardare all’universale.

Oggi, questo ruolo deve confrontarsi con vecchi e nuovi condizionamenti quali la globalizzazione e la crisi economica che ne è scaturita, ma proprio per questo va acquistando nuovi motivi di attualità.

Occorre, quindi, elidere le suggestioni di una “vulgata” tuttora ricorrente capace di trovare la sua sintesi paradossale nella definizione del fascismo come “male assoluto” (che nella logica cristiana - invece - dovrebbe essere individuato esclusivamente in Satana) e cogliere nella storia italiana ogni autentico riferimento ai valori essenziali di cui si diceva, per farne motivi di esempio e di ispirazione etica, in mancanza della quale è certamente più arduo e forse impossibile combattere la crisi.

I Ragazzi della Repubblica Sociale che si immolarono per la Patria nella consapevolezza di un’ora plumbea come poche, non scelsero la parte “giusta” né tanto meno quella “sbagliata” ma obbedirono ad un imperativo categorico di tipo kantiano, degno di onore e non certo di ostracismo. Ciò, al pari di Carlo Pisacane o di Berto Ricci, opportunamente ricordati nella conferenza di Latina, che in epoche lontane andarono incontro all’estremo sacrificio per una scelta eroica: l’uno per l’unità, l’altro per l’universale, a loro modo consapevoli della “missione” italiana e della necessità di battersi, allora e sempre, contro ogni “particulare” .

L’opera di Pietro Cappellari costituisce, in tutta sintesi, un salto di qualità che non casualmente è stato proposto nel capoluogo pontino: un “laboratorio” di ricerca politica scevra da dogmatismi aprioristici ma fedele ai valori ed in quanto tale, idoneo a coniugare, dopo un’attesa troppo lunga, il “nobile sentire” con il “forte agire”.

(Carlo Cesare Montani)

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