Lucca. Photo Lux Festival 2016

© Francesco Zizola - In the Same Boat 03Una tra le più prestigiose mostre di fotografia torna con gli scatti dei vincitori del World Press Photo, diverse personali interessanti e l’anteprima dedicata a Vivian Maier.
(ASI) Lucca. Anche quest’anno il panorama della fotografia internazionale, in esposizione a Lucca fino a domenica 11 dicembre, dimostra quante e quali siano le situazioni di crisi in atto, spesso trascurate dai mass media tradizionali, soprattutto in Italia.


Si comincia con l’indagine di Brent Stirton (secondo premio reportage per la sezione Natura) che fotografa, con colori iperrealistici e posati mezzi busto di un’incisività statuaria, la piaga del traffico illegale d’avorio, utile a foraggiare i vari signori della guerra in Uganda, Togo, Congo e Ciad. E si continua con il pericolo di estinzione dell’orango (a Sumatra e nel Borneo indonesiano) descritto da Tim Laman (primo premio nella stessa sezione) con foto scattate da improbabili altezze che ritraggono sia i primati allo stato libero, mentre si arrampicano su alberi alti anche trenta metri, sia quelli necessariamente tenuti in cattività - dietro a sbarre che ne preservano la sopravvivenza. Di forte impatto anche l’altra faccia degli States. Ritratta sia da Mary C. Calvert (primo premio Progetti a lungo termine), che racconta con un bianco e nero documentaristico e incisivo la violenza sessuale sulle donne all’interno delle Forze Armate Usa, e del loro calvario lastricato di soprusi, processi che non portano a condanne, suicidi, alcolismo, perdita della propria identità, depressione (le vittime, infatti, spesso si ritrovano affette da una sindrome ben nota ma di cui le autorità sembrano voler ignorare l’esistenza, definita ufficialmente MST, ovvero Military Sexual Trauma). Sia da John J. Kim (terzo premio foto singola nella sezione Storie d’attualità) che, simbolicamente e in un solo scatto, esemplifica l’attuale situazione di tensioni razziali a Chicago e in varie zone degli Stati Uniti, ritraendo in un bianco e nero quasi cinematografico il primo piano di due appartenenti alla comunità nera, un giovane manifestante e un poliziotto che si fronteggiano faccia a faccia. E ancora, si scopre la situazione paradossale delle scuole coraniche senegalesi, dove i bambini tra i cinque e i quindici anni sono costretti a mendicare per mantenere i solo insegnanti, e vengono costantemente picchiati, brutalizzati e tenuti in catene (foto in bianco e nero di Mário Cruz, primo premio Reportage). Surreale come la luce bluastra che accarezza i lineamenti del primo piano di un minatore del Burkina Faso mentre fuma una sigaretta: immagine anch’essa emblematica di una condizione umana e lavorativa estrema, che avvelena la vita di chi la subisce con polveri, mercurio e cianuro (secondo premio foto singola, per la sezione Volti, a Matjaž Krivic). E altrettanto sconvolgenti nella loro bellezza estetica, gli scatti di Francesco Zizola (secondo premio reportage per le Storie d’attualità), che fotografano la situazione dei boat people, i migranti che ogni giorno affollano il Mediterraneo su gommoni di fortuna. L’inquadratura filmica di Zizola dei due profughi, giovani africani, che fissano l’orizzonte con dignitosa compostezza, o la massa di carne umana stipata sul fondo di un gommone in attesa di salvataggio, restituiscono nel bianco e nero - netto e crudo - quel sapore plumbeo di mari sconosciuti e cieli tempestosi, che paiono riflettere il futuro sempre più incerto di milioni di persone in cerca di pace, sicurezza e uno scopo per il quale vivere. Sebastián Liste (terzo premio reportage per la sezione Vita quotidiana) mette al centro del suo lavoro le stragi perpetrate dalle forze di polizia brasiliane nelle favelas, che causano circa 2000 morti l’anno, e racconta la realtà di Papo Reto (parlar chiaro), un collettivo di artisti che realizza servizi e fotografie per sensibilizzare l’opinione pubblica del proprio, ma anche di altri Paesi, su quanto sta accadendo.
Alcune foto, all’interno della mostra, si segnalano per la loro qualità estetica - soprattutto quelle a colori (che valorizzano in maniera iperrealistica i momenti clou). Dal tiro a canestro della partita di basket - fotografato dall’alto - dove le figure umane appaiono schiacciate e le ombre assurgono a protagoniste (Greg Nelson, secondo premio foto singola per la sezione Sport); ai lottatori senegalesi, che si confrontano in un’arena di sabbia gialla, caotica come quelle dei gladiatori, fotografati da Christian Bobst (secondo premio reportage, sempre per lo Sport). E ancora, la nube a mensola, imponente e minacciosa, che si sta avvicinando a Bondi Beach, in Australia, mentre i bagnanti restano distesi nell’ultimo sprazzo di sole, incoscienti dell’incombente minaccia. Simile per composizione, forza espressiva e incisività del messaggio a
La libertà che guida il popolo di Delacroix, lo scatto pittorico di Corentin Fohlen (secondo premio foto singola per la sezione Spot News) che ritrae una manifestazione (le famose marches républicaines) indetta a seguito degli attentati terroristici a Charlie Hebdo e a quelli successivi, in altri spazi parigini.

Vedendo complessivamente i premiati, si può notare che il colore si impone nello sport e nei ritratti naturalistici, dove i verdi squillanti e i gialli solari rendono le immagini quasi tridimensionali, evidenziando con nettezza i chiaro-scuri. Mentre il fotogiornalismo d’inchiesta sembra sempre di più tornare al bianco e nero, che - come sostengono le teorie cinematografiche - riesce a stilizzare la realtà, lavorando per sottrazione, rendendola insieme più cruda e più realistica.

Diverse anche le personali in mostra. In anteprima, Vivian Maier, fotografa dilettante che per tutta la vita ha fatto la bambinaia ed è stata scoperta solo per caso, dopo la morte (avvenuta nel 2009). I bianco e nero della Maier, che ritraggono soprattutto persone comuni in posa con oggetti che rimandano al loro lavoro (il covone di fieno, gli animali al pascolo, la vetrina del negozio) immortalano quadri di vita rurale delle Alpi francesi e di quella metropolitana di New York City, tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Particolarmente espressivi i primi piani degli anziani e alcuni accostamenti che, nella semplice contrapposizione, acquisiscono senso restituendo emozioni. Dalla vecchia, ritratta di schiena, con le calze mezze arrotolate e l’abito semplice, che fissa la vetrina di stoffe forse inaccessibili; al lustrascarpe, che sembra il piccolo protagonista di Ladri di biciclette, davanti al cliente, un ricco borghese à la George Grosz. Pittorici i giochi di luce e i riflessi, dall’insegna luminosa nella pozza d’acqua di una strada abbandonata nel nero della notte, al palazzo ad alveare che si specchia nella finestra di un altro casermone senza personalità. Da notare anche i suoi autoscatti, che spesso la ritraggono a mezz’ombra, divisa lei stessa da un’assenza di luce che sembra rimandare a una vita priva di riconoscimenti (che si concluderà, dopo decenni trascorsi al servizio di varie famiglie come baby-sitter, nella più completa indigenza).


Tra le molte personali, se ne segnalano due di fotografi italiani. Fulvio Bugani (classe ’74) regala, con
Soul y Sombras, un ritratto inedito di Cuba, dove i forti contrasti tra i colori accesi e luminosi e le ombre nero pece, oltre ai tagli netti delle inquadrature, paiono simboleggiare la contrapposizione tra l’anima calda e sensuale di questo Paese che cerca, nonostante embarghi e difficoltà, di costruirsi un presente e un futuro autonomo, e le mire espansionistiche statunitensi e del grande capitale. Last but not least, Giulio Piscitelli che, nel 2015, ha raccontato la tragedia dei profughi attraverso le architetture fatiscenti del campo di Calais (il cui sgombero, da parte delle autorità francesi, è cominciato il 24 ottobre scorso). In Informal facilities in the Jungle (il soprannome del campo) Piscitelli pone lo spettatore in posizione voyeuristica rispetto agli interni di una serie di baracche e tende di fortuna, dove i migranti hanno cercato di ricostruire una sorta di socialità, insediandovi alimentari, negozi di parrucchiere, ristoranti e sale di ritrovo. L’instabilità di una situazione umana alla deriva si rispecchia nella precarietà di queste architetture di fortuna che, allo stesso tempo, dimostrano la forza e il coraggio dell’essere umano che, nonostante tutto, pretende non solo di sopravvivere, ma di vivere e, quindi, di socializzare, compartecipare, e avere il diritto di tornare a sorridere.
  


Simona M. Frigerio – Agenzia Stampa Italia

© Francesco Zizola - In the Same Boat 03

© Vivian Maier, Autoritratto - Collezione Association Vivian Maier et le Champsaur, Fondo John  Maloof

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