Cinema. Macbeth di Justen Kurzel, recensione

(ASI) Perugia - Rappresentato per la prima volta documentata nel 1611 al Globe Theatre di Londra e composto qualche anno prima, nel 1606, il dramma del barone di Glamis, torna alla ribalta cinematografica con la nuova pellicola di Justen Kurzel, già impegnato nella versione per le sale di Assassin’s Creed (pellicola di ben altro tenore). La critica internazionale si è concentrata su alcuni pregevoli aspetti della riedizione del dramma shakespeariano, che, però, risultano abbastanza evidenti. Ci riferiamo agli splendidi panorami, alle scene in time-lapse ed al rallentatore, alla cura per i dialoghi ed alla splendida prestazione degli attori che riescono a conciliare le espressioni enfatizzate del teatro con la ricercata naturalezza del cinema.
La scenografia essenziale rievoca la durezza dei tempi in cui il dramma viene ambientato e fa comprendere un’epoca in cui essere nobile significava essere valorosi in battaglia. Il barone doveva semplicemente essere un coraggioso soldato sul quale il re poteva fare affidamento.
Ciò che ci è sembrato passare in sordina è, invece, un attento esame del contenuto che il drammaturgo inglese ha scandagliato in profondità. Il male e le sue conseguenze, il peccato (concetto ormai dimenticato) e le sue seduzioni, l’illusione di potersi fermare dopo aver compiuto un grave misfatto.
L’opera di Kurzel rende perfettamente il cuore dell’opera drammatica pensata per il teatro. Macbeth s’illude di potersi fermare dopo aver ucciso il re Duncan e di potersi godere una vita tranquilla ed agiata, circondato dalla stima e dall’affetto della sua corte, vivendo al posto del sovrano assassinato. Con particolare attenzione il regista si sofferma sul tormento interiore del barone di Glamis che combatte contro se stesso per non cedere alla tentazione di commettere l’omicidio. Nella lotta non è certo aiutato dalla moglie, che dopo essersi votata al male, con tutta se stessa cerca di convincere Macbeth, accusandolo di codardia e di non essere un vero uomo.
Ma ciò che più affascina nel tessuto del film in analisi è lo sgomento negli occhi della moglie di Macbeth quando si accorge che il marito non riesce a fermarsi nel compiere il male e sta impazzendo. Effettivamente Macbeth, sapendo ciò che ha fatto, sospetta di tutti pensando che gli altri commettano i suoi stessi crimini contro di lui, uccide collaboratori, bambini, amici fidati. Lady Macbeth, che tanto ha fatto per convincere il marito ad uccidere il suo re, vorrebbe che lui smettesse di comportarsi da pazzo, ma le cose non stanno così. Il male non è una scelta soggettiva alternativa al bene e con le stesse conseguenze. Il male e il peccato, chiedono altro male, il sangue tira sangue fino a ridurre il malcapitato esecutore in schiavitù. Michael Fassbender, nei panni di Macbeth, interpreta alla perfezione i passaggi psicologici e gli stati d’animo del personaggio, passando dal soldato valoroso che salva la nazione al perfido traditore in grado di distruggere il suo popolo.

Ilaria Delicati - Agenzia Stampa Italia

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