Recensioni film. Divergent (2014) di Neil Burger

(ASI) In futuro prossimo e futuribile, una guerra colossale ha distrutto qualunque segno di civiltà. I sopravvissuti, per riuscire a condurre una vita normale, si organizzano, all'interno di una città in caste.

Al compimento della maggiore età ognuno può scegliere a quale casta appartenere. Per aiutare i cittadini a non sbagliare vocazione, tutti vengono sottoposti ad un test, una verifica, che svela la predisposizione più intima al lavoro da svolgere per tutta la vita. In realtà l'esame serve anche ai governanti per scoprire se, tra il popolo, vi sia qualche "divergent", rari esemplari di indomabili ribelli restii a qualunque sottomissione e destinati ad una vita spesa alla ricerca di una non meglio precisata libertà. Ovviamente, guarda caso, tra i divergenti troviamo la protagonista del film, Beatrice Prior. Gli spunti interessanti non mancano anche se il film è una trasposizione un po' troppo diretta del romanzo di Veronica Roth. Comunque, nonostante la descrizione delle caste sia un po' troppo schematica e poco realistica, la pellicola rende bene l'idea di una società devastata da un evento incontrollabile, terrorizzata dal pensiero che la catastrofe si ripresenti e conduca alla morte l'intera umanità. Motivo conduttore del racconto l'inevitabile conflitto tra gli uomini, anche all'interno della città che dovrebbe essere memore degli effetti della guerra, conflitto per eccellenza tra gli umani. Gran parte della narrazione è dedicata all'iniziazione di Beatrice, che sceglie di diventare un'intrepida, la casta che dedica ogni sforzo per proteggere la città dai nemici, anche se di avversari, nel film non se ne vedono. E questo è un altro aspetto interessante della pellicola in esame. L'agglomerato urbano in cui vivono i protagonisti è protetto da alte mura recintate con fili volanti e suggestivi. Aldilà dei confini solo prati a perdita d'occhio. Nessuna traccia di altri esseri viventi, animali o uomini che sia. Il regista lascia intendere l'eventualità di altre città, altri popoli, altri uomini terrorizzati e rinchiusi in se stessi, protetti da alte mure in altre oscure e lontane città, così come sa narrare l'anelito di Beatrice ad abbandonare la sua gente per andare a scoprire se fuori dal suo mondo esista qualcosa di altro. Non poteva mancare certamente neppure il complotto con cui una casta cerca di prendere il predominio di tutta la comunità, con tanto di persecuzione ed annientamento degli altri o di alcuni. C'è da chiedersi perché le opere degli americani siano pieni di zombie, catastrofi naturali, cataclismi, complotti, post bellum con scenari apocalittici. Anche in The Road, con uno stile narrativo ed un'originalità di contenuto superiore, l'umanità si è divisa in cacciatori-cannibali e prede-esseri umani, condannati ad una perenne fuga. È come se scrittori, sceneggiatori e artisti in generale percepissero l'"altro" come una seria minaccia alla propria sopravvivenza. Ciò che colpisce è anche lo sguardo carico di pessimismo nei confronti del prossimo. La serie infinita di telefilm dedicati a zombie et similia, ci fa sospettare che incontri il gusto del pubblico qualunque racconto che faccia sentire minacciati, perseguitati, inseguiti, ad un passo dall'essere catturati, sempre in pericolo di vita. Divergent non si discosta troppo dal genere appena ricordato, anche se sicuramente destinato ad un pubblico di adolescenti.


Ilaria Delicati - Agenzia Stampa Italia

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