67ma Edizione Festival di Locarno. Proiettato La sapienza, primo film in concorso coprodotto dall'Italia.

(ASI) 67ma edizione Festival di Locarno. È stato proiettato venerdi' 8 agosto il primo film che parla italiano. La Sapienza, per la regia di Eugène Green, è una produzione italo-francese che coinvolge anche la nostra televisione nazionale, essendo Rai il partner principale.

La storia non è particolarmente complessa: una coppia in crisi, lui architetto di grido e lei studiosa dei rapporti sociali, decide di intraprendere un viaggio in Italia, passando per il Canton Ticino, sulle orme del celeberrimo architetto Borromini. Per lui un'occasione di riprendere l'antica passione per l'architetto barocco, per lei un'ultima possibilità di ricucire un rapporto basato sull'incomunicabilità. Una volta giunti a Stresa, conoscono due giovani fratelli: il ragazzo che vorrebbe studiare archittettura a Venezia, la ragazza affetta da uno strano male. La moglie decide di fermarsi con la ragazza, chiedendo al ragazzo di seguire il marito nel suo viaggio fino a Roma. Alla fine del viaggio, esteriore ed interiore, dei quattro protagonisti, ognuno di loro si libererà dalle proprie paure, facendo intuire allo spettatore la nascita di quattro nuove persone. Piu' che la trama, pero', importa la cifra stilistica del regista. Egli dedicide infatti di dare alla parte umana del film un taglio plumbeo, imponendo alla recitazione degli attori una quasi totale inespressività, considerando molto piu' eloquente e solare il linguaggio degli spazi e delle architetture. Bravissimo il direttore della fotografia a ''far parlare'' i panorami del lago maggiore e di Roma, a ''far muovere'' gli edifici barocchi del Borromini, in particolare la Chiesa di Sant'Antivo alla Sapienza (che dà il titolo al film).  Bravissimo il regista a dividere sempre lo spazio dello schermo in modo simmetrico, giocando sui piccoli spostamenti: quando i protagonisti siedono a tavola sono sempre di fronte, e sul tavolo esistono sempre coppie di oggetti che sono speculari. Solo dopo la metà del film questa regola comincia a cedere, insieme ai cambiamenti che si rendono evidenti nei personaggi. È forse in questa contrapposizione paradossale tra l'immobilismo dell'uomo e la mobilità degli edifici e dei paesaggi che sembra crescere nei protagonisti la consapevolezza che l'unica ricerca possibile è quella verso la luce, intesa come sapienza delle cose, visione piena e completa. Ed è proprio questo approccio che guarda alla mistica – per paradosso i protagonisti adulti sono atei – ad aggiungere qualcosa alla filosofia della visione del regista. La luce è sapienza, certo, ma è anche l'elemento fondante della settima arte: la luce crea il cinema, che a sua volta la restituisce all'uomo.

 

Fabio Simonelli – Agenzia Stampa Italia

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