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Malasanità. Quando è l’ospedale a dover fare il check-up

(ASI) Solo qualche giorno fa, un collaboratore, Giuseppe Mazza, ha scritto un articolo (vedi) sulla malasanità in Umbria, ricordando che non c’è, da quasi un anno, l’assessore regionale, che mancano i medici e ci sono, in compenso, tanti vergognosi sprechi. Questo era un flash sulla malasanità vista da fuori, da dentro è, forse, peggio.

L’esperienza, appena finita, si riferisce all’ospedale di Perugia, Santa Maria della Misericordia, meglio conosciuto come “Silvestrini”, ed è stata vissuta (questo è ancora meglio) da semplice “visitatore” come c’è scritto sui cartelli, ma ciò non toglie che l’indignazione sia al massimo lo stesso perché si è trattato, comunque, di mia figlia che è stata ricoverata per partorire. Quindi si tratta del reparto (o dei reparti) di ostetricia e ginecologia e di neonatologia, unità di terapia intensiva neonatale.

Tutti i reparti appaiono affollatissimi di camici bianchi, un via vai incredibile, non so se tutti in organico o occasionali, certo che così, d’acchito, sembrano tanti, un vero esercito. Servono veramente tutti? Ecco un primo quesito, e una questione, da mettere in agenda e da sviluppare attentamente al più presto dai due nuovi (?) direttori generali regionali.

La seconda questione, che è poi quella che sta più a cuore a tutti, naturalmente, è la professionalità degli addetti: dalle semplici infermiere, alle ostetriche, ai pediatri, ai ginecologi, ecc Non posso certo dire, per quel poco, anzi pochissimo, che ho capito io, che manchi la professionalità. Assolutamente no, sembra che ci sia, e pure alta, tuttavia non manca qualche mela marcia, che rischia di rovinare tutto il cesto, oltre, ovviamente, qualche sventurata paziente.

Cominciamo dalle “previsioni”. Una volta, fino a quando non avveniva il parto, del nascituro non si sapeva niente, nemmeno il sesso, adesso da subito si sa tutto, non solo il sesso, ma si segue la crescita con una attività ossessiva, tra ecografie e tracciati, che a me sembra - ma sono il solito profano - forse eccessiva. Tuttavia poiché tutto ciò pare sia dovuto al progresso medico, m’inchino doverosamente alla scienza, senza insinuare perplessità e sollevare dubbi che pure, a volte, sorgono spontanei.

Si arriva così al ricovero per il parto che sembra imminente. Le partorienti, pur dopo aver seguito corsi e spiegazioni, rimangono sempre, comunque, sostanzialmente, ignoranti. Da qui il bisogno di chiedere a destra e a manca, sempre però a personale in camice bianco, notizie e chiarimenti che, a volte, vengono dati senza nessuna richiesta. Così è capitato che un’ostetrica, dopo un esame accurato fatto a mia figlia, ha sentenziato: è un bambino che ha le gambe molto lunghe, lunghissimo. Fatale ed inevitabile la riflessione di tutti noi: lungo va bene, ma lunghissimo è troppo, sarà un bambino normale? D’altronde questo è l’interrogativo che si pongono subito i genitori quando si manifestano i primi segni della maternità. Sapere, a pochi giorni dalla nascita, che il bambino è lunghissimo, detto in maniera così precisa e particolareggiata da una professionista che in una vita ha visto nascere tantissimi bambini, sembrava una diagnosi fondata e assai credibile. Insomma tre giorni d’inferno in attesa dell’evento. Tralascio, per carità di patria, quello che è successo in sala parto, comunque il bambino è del tutto normale. Quell’ostetrica che ci ha fatto passare giorni d’inferno, cosa ha visto? Ma è un’ostetrica o una mancata raccoglitrice d’olive? Passiamo al secondo giorno: intorno alle 17 visita delle nonne con foto d’ordinanza con il bambino in braccio. Entrambe notano un colore leggermente giallo del bambino, pensano all’ittero, ma non dicono nulla per non allarmare mia figlia, comunque a tranquillizzare tutti arriva, qualche minuto dopo, l’équipe medica, pediatra in testa, che visita attentamente il bambino (a proposito: si chiama Francesco) e stabilisce che tutto va bene. Alle due di notte un’ostetrica, per caso, si accorge che il bambino ha, invece, l’ittero e lo porta in terapia intensiva neonatale, in una specie di incubatrice, senza dire nient’altro, solo “venga alle nove”. Altra notte insonne in attesa delle nove, ma alle nove non c’è nessuna notizia: “torni a mezzogiorno”, mentre sale l’ansia e la preoccupazione, perché uno pensa: se non mi dicono niente può darsi che sia una cosa grave. D’altronde anche il ginecologo che ha seguito mia figlia per tutta la gravidanza, sentito per telefono, dice: s’informi, fino a 15 non c’è da preoccuparsi. Già, fino a 15, ma quant’è, visto che nessuno dice niente? Poi, finalmente, anche scomodando amici e parenti, si è finalmente saputo che era molto meno di 15, quindi quasi tutto normale. Ma perché non dirlo subito per tranquillizzare i genitori?

Con alcune varianti, e qualche aggravante, la disavventura capitata ad un’altra neo mamma. Domenica mattina viene dimessa dall’ospedale, ma senza il bambino, trattenuto, nel solito reparto, perché anche lui con l’ittero. Anche in questo caso senza informazioni e con l’invito alla mamma di tornare ogni tre ore, per allattare il piccolo. La donna, accompagnato dal marito, fa il sacrificio e torna, ogni tre ore, per allattare, alle tre di notte chiede aiuto ad un’ infermiera, si sente rispondere: mi dispiace, non vede, sono sola con tanti bambini da accudire. Sola? Proprio così. E tutte quelle infermiere che, di giorno, affollano le sale ed i corridoi dov’erano? Ma è una cosa, non dico ragionevole, perché è chiaramente assurda, ma umana costringere una mamma a tornare all’ospedale ogni tre ore? La signora in questione abita a Castel del Piano, ma i signori in camice bianco non lo sapevano perché non glielo avevano nemmeno chiesto. E se fosse stata di Città della Pieve, cosa faceva? Dormiva fuori in macchina, al freddo, ed entrava ogni tre ore? Si stenta a credere che sia realmente accaduto. Pazzesco! C’è qualcuno che si dovrebbe, almeno, vergognare.

Meno importante, ma altrettanto grave, è la questione dei parcheggi. Apparentemente sembrano tanti, in verità sono del tutto insufficienti se molti, troppi, sono costretti a parcheggiare l’automobile sui marciapiedi, tra le aiuole, in un caos incredibile, ed allora ci si chiede: era difficile immaginare questa affluenza di gente dopo aver fatto quelle enormi strutture? Bastava fare qualche calcolo elementare e sarebbe stato facile capire che quei posti auto sarebbero stati del tutto insufficienti, come si vede in certe ore del giorno. Ciò avviene, principalmente, per due ragioni: perché tutti sono costretti ad usare l’automobile in quanto i mezzi pubblici sono disastrosi: quasi un’ora per raggiungere l’ospedale dalla stazione di Fontivegge, da dove, in verità, si potrebbe arrivare anche con il treno, infatti c’è anche la stazione, peccato che di treni ce ne sono tre al giorno. La seconda ragione è che chi ha pensato al piazzale si è ispirato a les Champs-Elysées con marciapiedi larghi anche cinque metri, che sottraggono moltissimo spazio alle zone per la sosta degli autoveicoli. Ma gli scienziati che fanno questi sontuosi progetti dove li trovano? Ancora meglio: come fanno a trovarli così scarsi?

E meno male che sono andato solo tre giorni, e da “visitatore”.

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